giovedì 21 agosto 2014

Dove si conservano i ricordi

Bastano pochi chilometri per trovarsi immersi nella pace della natura.
Alla prima occhiata di sole, approfitto per convincere mia mamma a fare un giro con me da qualche parte. Convincere è una parola grossa in realtà, dato che prima che io possa finire di parlare lei è già con lo zaino in spalla!

La prima delle nostre gite ci porta alla Colma, una piccola località della quale conservo i ricordi di passeggiate familiari con nonna e varia cuginanza. Approfittiamo del sole (SOLE!!!) per goderci il caldo in un grande prato pieno di fiori con vista sulle montagne circostanti: l’anima si rigenera, grata di questi piccoli attimi di felicità. 
La nostra piccola passeggiata culmina in un favoloso agriturismo, nascosto e forse sconosciuto ai più, che forse proprio per questo mantiene un carattere genuino di familiarità. Arriva il dolce (mirtilli con gelato e rum, mmmm), e con esso un vecchietto che trasporta una fisarmonica: sotto il patio lo aspettano gli amici per cantare tutti assieme tra un grappino e un buon rosso, età media ottant’anni ed energia da vendere. 
Il fisarmonicista intona un canto del lago, Addio Lecco dice, forse un canto del dopoguerra? Il suo amico laghée dal volto affilato e gli occhi azzurrissimi lo segue senza indugio, trasformando la semplice melodia in un canto a due voci spiegate che prosegue per ore: cantano di belle lontane, di città, di gioventù e nostalgia, di vino e amicizia, di guerra e famiglia, chiosando di tanto in tanto massime immortali come “I terùn han inventà la musica” “Eh, minga el laurà però!”
Naturalmente non sfugge loro il mio sguardo ipnotizzato e mi invitano a cantare con loro, come resistere?

Ogni giorno ogni sera
chi beve il Barbera
sol si salverà!







Prossima gita, starring io, mami e papi. 
Tappa, una piccola località a meno di un’oretta da casa, dove la nonna Gina (bisnonna, in realtà) veniva in vacanza: Rezzago. 
Arrivare e respirare il profumo di ricordi sbiaditi della mia infanzia è tutt’uno: niente più che brandelli di immagini e sensazioni sfocate ma presenti riaffiorano alla vista di un lavatoio di pietra, di una ringhiera, del parcheggio vista valle: i punti di vista di una bambina che non sa ancora quanto quelle immagini torneranno a portarle un sorriso anni e anni dopo.

Arriviamo al Santuario di Campoé, e poi imbocchiamo il sentiero lastricato che porta alla Marinella. L’abbiamo sempre chiamata così e non sappiamo il perché, dato che ufficialmente si tratta dell’Agriturismo Enco di Rezzago.

Per me Marinella è associata nella memoria a profumo di sottobosco e funghi, panino col salame e muretti di pietra: quando ci arriviamo, i miei occhi si riempiono di quel luogo immutato negli anni, e quando arriva la proprietaria vedo che negli occhi di mia mamma accade lo stesso. La conosce, quella ragazza: era qui quando lei, insieme a nonna Gina, veniva a fare merenda da bambina alla Marinella. 
E insieme a lei, mentre gustiamo una grappa di amarene da capogiro, sua mamma: immutata e inattaccabile dallo scorrere del tempo, mentre i bambini di casa ci mostrano orgogliosi una spada e un fucile di legno e ci raccontano dei loro studi di flauto e violino.
Ogni giorno ogni sera
chi beve il Barbera
sol si salverà!







Perché un paese deve morire?

Sto trascorrendo un po’ di tempo a casa dei miei, in quella che non si direbbe per niente una zona turistica o di qualche interesse paesaggistico: vuoi per l’incuria delle amministrazioni che nei decenni hanno sprecato qualunque possibilità di rendere il paese attraente o anche solo bello da vivere, vuoi per la frenesia che caratterizza la quotidianità dell’hinterland milanese. 

Credo di essere una persona che apprezza tutto ciò che il mondo ha da offrire, dalla bellezza di un fiore alla più commovente opera d'arte mai creata dall'ingegno umano; eppure ci sono delle volte che lo sconforto di non riuscire a trovare la bellezza che cerco, e che so essere a un palmo dal mio naso, ma sepolta, dimenticata e disprezzata da tutti, mi riempie di rabbia.

Ci ho provato, a trovare della bellezza anche qui. 

Siamo a Meda, dove ho abitato - ma mai veramente "vissuto" - per quasi trent'anni, prima di trasferirmi all'estero. 
Un paese di passaggio, una città dormitorio, un luogo senza identità e senz'anima. Dove però sento ancora le tracce di coloro che invece amavano e vivevano il loro paese, rendendolo vivo e pulsante: le sento nei ricordi dei miei genitori e delle mie zie, nelle memorie delle vecchie foto e nelle canzoni popolari che forse solo poche decine di persone sanno ancora cantare. 
Sento le tracce della sua storia, è vero, ma le vecchie case di ringhiera sono tutte abbandonate e cadenti, antichi cascinali oggi potenzialmente bellissimi e fruibili lasciati a marcire tra erbacce e muri sgretolati, una stupenda zona di accesso al parco della brughiera briantea completamente incolta, inquietante e decadente. 
Il laghetto della mia infanzia, la Zoca dei Pirutitt, ridotto a uno stagno sporco; le transenne di legno in parte crollate e in parte marce.

Non mi rassegno. 
E’ una delle poche giornate soleggiate di questa assurda estate piovosa, e voglio trovare il mio angolo di bellezza. 

Ma devo accontentarmi di ammirare con malinconia la stupenda piazza antica che sovrasta il paese: ciò che rimane del Monastero di San Vittore, una bellissima chiesina affrescata dal Luini aperta al pubblico solo uno o due giorni al mese, e immaginare lo splendore della Villa Traversi, opera di Pollack, se fosse aperta al pubblico. 
Non concedo niente più che uno sguardo insofferente alla magnifica casa adiacente, un tempo scuderia del palazzo De’ Capitani (ex Carpegna). 
Cos’è, di chi è? Chi si permette di possedere un bene del genere nel cuore di un centro storico e lasciarlo morire di incuria e indifferenza come e fosse uno sgabuzzino?     

Rabbia e tristezza mi si rimescolano dentro, perché so di non poterci fare nulla.

E’ una richiesta così assurda, il desiderio di amare il proprio paese?


La Zoca dei Pirutitt  (Foto: Comitato parco brughiera

Il centro storico di Meda (Foto: Pietro Ficarra)

Casa di ringhiera medese (Foto: Pietro Ficarra)


martedì 19 agosto 2014

Della bellezza che ci circonda

A volte ci si dimentica di quanto sia semplice concedersi piccoli momenti di vacanza semplicemente tornando a guardarsi attorno e riscoprire la bellezza nascosta a due passi da casa.

Siamo bombardati da offerte di viaggi mirabolanti che promettono mete paradisiache a cifre stracciate, pubblicità di crociere all-inclusive che sono vere città galleggianti, stereotipi di abbronzatura caraibica da raggiungere ad ogni costo. 
foto: veronikaa

Non accettiamo che la nostra sudata e meritata vacanza sia guastata dal tempo inclemente. 
Ci scanniamo a postare su instagram l’ultimo selfie con cocktail verdognolo, sguardo ammiccante e commento da giramondo, per oscurare la popolarità di quella stronza che ha appena postato la foto di una spiaggia tropicale deserta al tramonto. 
Torniamo a casa con il magone perché domani si torna a lavorare e il ricordo della vacanza sfuma pian piano come l’ebbrezza di quel quel cocktail dopo una notte di sonno.

Passato. 
Effimero. 
Uguale alla vacanza di tanti altri.

E noi restiamo insoddisfatti, con il sapore amaro della sensazione di essere stati derubati della nostra vacanza: forse proprio perché non è stata una vacanza, ma solo un modo di convincere se stessi prima che gli altri del fatto che sappiamo vivere una vita piena e gratificante, almeno una volta all’anno.

Eppure sarebbe così facile ritrovare un po’ di felicità senza organizzare vacanze da capogiro.

Guardiamoci attorno!

Siamo circondati di piccoli e grandi tesori, dimenticati o solo snobbati perché non considerati cool o trendy: liberiamoci dall’ansia della tag e godiamoci la bellezza che i nostri nonni hanno scoperto, coltivato e amato!


Madonna del Ghisallo


La "Marinella" (Agriturismo Enco), Rezzago

La Colma, Sormano



lunedì 14 luglio 2014

Viaggio nel tempo: impressioni di una vacanza musicale

Si viaggia non solo muovendosi fisicamente, ma anche con la fantasia, la memoria e le sensazioni.
Viaggiare non è solo scoprire nuove culture, ma anche ritrovare la freschezza dell'infanzia, avvicinarsi a mondi differenti per età e interessi, aprire la propria sfera sensoriale alla poesia delle piccole cose e del quotidiano, che se guardate con occhi positivi e curiosi possono regalare sorprese incredibili.
Interrogarsi non sui grandi misteri filosofici o sul significato profondo della vita, ma sull'essenza più naturale delle nostre giornate: chi sono io?
Durante questa settimana ho scoperto più cose su di me di quanto non immaginassi. Le "vacanze musicali", rivelatesi tutto fuorché vacanze per la mole di lavoro da fare, l'impegno costantemente profuso nel seguire e controllare - non solo musicalmente - bambini e ragazzi da 8 a 17 anni giorno e notte, mi stanno donando inaspettatamente un'energia e una felicità di quelle da gustare attimo per attimo.  
Chi sono io? Ho un'età e un ruolo che, agli occhi di un bambino, non possono che confinarmi inesorabilmente nel mondo degli insegnanti, degli adulti. Con un po' di malinconia, dato che, in fondo, mi considero sempre una ragazza. Quando si finisce di essere ragazzi e quando si diventa adulti? Perché l'idea dell'età adulta mi spaventa ancora, come se ci fosse un muro invalicabile tra i due mondi? Di qua ordinato, serio e schematico; di là spensierato, colorato e potenzialmente eterno. Ecco, forse è lì il confine: quando ti accorgi che la vita non è un fiume senza foce, libero e spumeggiante nel suo vivere l'istante.
Eppure in questi giorni questi ragazzi hanno sgretolato il muro di confine, permettendomi di passare a mio piacere da una parte all'altra del giardino senza farmi domande né pormi problemi. Una boccata d'aria fresca: non c'è alcun muro, solo io e loro.

L'Isola del Garda


F. compone. Ha diciassette anni, suona il pianoforte e le piace inventare melodie per conto suo. Le cerca a orecchio, imitando quello che sente alla radio o negli spartiti, ma poi si slancia a cercare le "sue" melodie. Le serve aiuto perché ha trovato l'inizio di un pezzo e sa come finirlo, ma non sa cosa metterci in mezzo. Ci sediamo al pianoforte insieme, me lo fa sentire e proviamo delle soluzioni finché non trova l'ispirazione giusta: "Vedi, qui è come una persona che cerca un'altra" e suona una melodia lenta e semplice, organizzata su un facile giro armonico. "E poi arriva quest'altra persona, no, e fa così" prosegue, riorganizzando la melodia variandola a suo piacere. "Mi serve la parte in cui stanno insieme, e poi finisce che una se ne va, e resta l'altra. Quindi vedi" mi dice accennando il tema un'ottava sopra con delicatezza, "questa sarebbe la parte della solitudine". Il brano non ha parole: sono tutte dentro di lei. 

Il chiostro delle tartarughe - Santuario S. Maria del Carmine


Oggi ho approfittato di qualche ora libera e dell'occhiata di sole per fare due passi sul lago. San Felice è un paesino grazioso; dalle case basse e arroccate sulla collina si scende lungo una strada linda ed elegante, costeggiata di olivi e oleandri in fiore, che sbuca al porticciolo. Il lago è calmo e i gabbiani si contendono un pezzo di pane con un cigno e qualche anatra. Un bambino di un anno si regge malfermo sulle gambe, osservando affascinato la zuffa mattutina. Non c'è un solo rumore a disturbare la scena. 
Decido di incamminarmi verso l'interno a caccia di nuovi angoli da fotografare, e finisco in una stradina tra gli ulivi che si inoltra chissà dove. "Scusate, questa strada porta da qualche parte?" chiedo a tre signori che passeggiano in quella direzione. Saranno sulla sessantina, forse anche di più. Con un sorriso mi viene da pensare che potrebbero essere mio papà, il Rotaia e il Gianni in giro a fare una passeggiata: mi ispirano la stessa fiducia, la stessa giovialità mai esagerata o molesta. Mi spiegano con cura la strada e poi mi accorgo che prendiamo la stessa direzione, così iniziamo a chiacchierare. Sono allegri, pensionati da poco e forse non del tutto rassegnati a rientrare in una "categoria" di persone, nella quale non si identificano ancora. Ironizzano sul fatto che "non hanno niente da fare", che adesso che sono ricchi grazie alla pensione possono fare quello che vogliono, ma in qualche modo il loro sguardo tradisce lo stupore di sentirsi auto-definire "pensionati". Sono come me. Ragazzi che la società deve inquadrare in qualche modo: ma noi, in fondo, sappiamo chi siamo e dove vogliamo stare. Passo tre ore con loro, camminando fino alla chiesetta di San Fermo, alla Baia del Vento e quasi fino a Portese, poi torniamo indietro e li porto al Santuario del Carmine dove ci congediamo. La mattinata mi è volata, ho camminato quasi una decina di chilometri senza accorgermene e ho conosciuto Paolo, Felice e Giuseppe che aspettano fiduciosi che io diventi famosa per potersi vantare di avermi conosciuta per caso tra gli ulivi del Garda.

San Felice del Benaco

E' bello dare il buongiorno alla signora anziana che alloggia qui alla Casa e tutte le mattine fa colazione con noi. Avrà ottant'anni, e mi ricorda tanto nonna Rosa. Sorride ed è felice quando la si saluta, e ha una gran voglia di parlare. Il poco tempo libero non mi ha permesso di sapere ancora nulla di lei, ma in un paio di rare conversazioni mi ha recitato una poesia di Goethe in tedesco e inframmezzato il discorso con qualche frase in francese. Chapeau!   

Garda - San Felice del Benaco

E adesso sono qui, sulla poltroncina del corridoio in un ruolo che non mi si addice ma che va fatto: il vigile! E' tardi e l'adrenalina del saggio è ancora alta, ma i ragazzi hanno la sveglia presto domani per una lunga, ultima giornata di lavoro. Le porte si aprono e facce furtive sbucano in avanscoperta per ritirarsi non appena mi vedono, imprudenti avventuriere sgattaiolano fuori dalla camera prima di accorgersi di me per poi inventare le scuse più improbabili, ma nonostante la severità che sono costretta ad adottare sento l'affetto dei ragazzi. F. ammica con complicità dopo che l'ho ripreso: abbiamo appena suonato insieme e siamo ancora compagni, non avversari. S. si fa beccare fuori dalla porta, ma ha in mano una letterina che voleva dare alla sua maestra di strumento prima di dormire...Mentre V. non ha una scusa valida e si inventa che aveva sete, quindi è costretta a tracannare l'acqua che ho con me prima di rientrare. Sto cascando dal sonno, ma li adoro tutti.

Vacanze Musicali a San Felice del Benaco - "Il Flauto Magico"


E la prova generale è andata! Sono stati bravissimi: i ragazzi sono così orgogliosi dei loro costumi da Monostato, Regina della notte o Dame che finalmente hanno iniziato a entrare davvero nella parte. Ieri sera mi hanno fatto dannare con la loro agitazione che non li faceva andare a letto, che li faceva confabulare all'una di notte da una finestra all'altra, nel clima da ultima sera che è la rovina dei sorveglianti! Ma stamattina non riuscivo a far loro la faccia severa: il loro entusiasmo è contagioso, e a loro, alla signora che recita Goethe, ai tre compagni di camminate e tanti altri sguardi e sorrisi incontrati in questa settimana dedico il mio bel viaggio nel tempo! 


lunedì 28 aprile 2014

Tirana dalla N alla Z

Un paio d'anni fa ho scritto due post in forma di "glossario" in cui per ogni lettera riportavo una parola per me significativa della mia vita in Germania. Per pigrizia e calo d'ispirazione avevo abbandonato il progetto a metà, ma stasera ho deciso di concludere le lettere rimanenti adattandole però al mio nuovo viaggio in Albania.
Eccovi dunque, dopo Ein Jahr ist vorbei (parte prima e parte seconda), Tirana dalla N alla Z! 

N come NEVE - E' inutile, credo che ormai si tratti di destino, karma o più semplicemente sfiga colossale. Non importa che prima di partire tu abbia controllato ossessivamente il meteo che prometteva tre settimane di sole e caldo quasi estivo, non importa che Tirana sia alla stessa altezza di Bari e che quindi fosse ragionevole presupporre temperature miti e soleggiate, non importa che la tua fiduciosa valigia fosse piena di sandali e t-shirt: la bianca stronza ti seguirà comunque, regalandoti brividi di gelo a fine aprile, lasciandosi ammirare sulla cima delle montagne poco distanti da Tirana, lanciandoti occhiate languide nel suo immacolato candore. Maledetto freddo, e io che ho portato pure la crema solare. 

O come OGGI - A che serve preoccuparsi per il futuro? A che serve programmare? Qui si vive alla giornata, non si fanno progetti a lungo termine soprattutto per le piccole cose quotidiane. Ordini il pesce al ristorante? Mezz'ora dopo vedi arrivare un cameriere col sacchetto del mercato e quattro pesci freschi appena comprati, pronti per essere messi sulla griglia. Ti sei dimenticato di prendere lo spazzolino e te ne accorgi solo dopo cena? Un negozio aperto si trova sempre anche di sera, non c'è da preoccuparsi troppo. 

P come PËRSHËNDETJE - Che sarebbe "ciao", e dà l'idea di quanto difficile sia la lingua albanese!! E' una delle quattro parole che ho imparato (insieme a buongiorno, grazie e arrivederci), ringraziando ogni giorno che quasi tutti gli albanesi parlino senza problemi l'italiano.

Q come QOFTE -  che si legge Ciòfte, e sono delle polpettine poffose* buonissime in un sughetto buonissimo cotte in una ciotola di terracotta nel forno a legna. Mi viene fame solo a pensarci, ed è uno dei motivi per cui Tirana non è completamente da buttare.

R come RISCHIO - Leggasi il capitolo sul tentativo di creazione di un superuomo da parte dei tiranesi: salto del tombino, slalom tra gli ostacoli, schivata dell'autobus impazzito e corsa della morte altrove nota come attraversamento pedonale sono sport in cui gli albanesi competono ad alti livelli. 

S come SIGARETTE - Ma lì c'è scritto "No smoking!". Segue grassa risata.

T come TAXI - Ne ho presi due. Sul primo mi sono sentita protagonista di un rally mozzafiato all'insegna dello sprezzo per il codice della strada, sul secondo ho imbastito una conversazione in italiano con un tassista che parlava solo albanese che ha cercato di appiopparmi il suo figliolo fisarmonicista come fidanzato a sorpresa.

U come UGOLA - Sarà anche registrata, ma la voce del muezzin che si diffonde dagli altoparlanti delle moschee ha un fascino incredibile...Siamo vicini a casa tutto sommato, ma per noi quella litania apre immediatamente nell'immaginazione uno squarcio d'Oriente misterioso.

V come VERDURA - Non ce n'è per nessuno, signori. Non dimenticate che vivo in Germania, dove indipendentemente dalla forma e dal colore la verdura ha sempre lo stesso sapore triste e indefinito! Non sono mai stata una verdurofila ma qui tutto ciò che nasce dalla terra e dagli alberi ha un sapore eccezionale, capace di convertire la più convinta carnivora come la sottoscritta in una simpatizzante entusiasta di zucchine e spinaci!! 

Z come ZOPPA - Ovvero la sottoscritta, che dopo due intense settimane di lavoro aspettava con ansia gli ultimi giorni liberi, già programmati e intensamente pregustati per gironzolare liberamente alla scoperta delle bellezze nascoste nei dintorni della città. Non ho fatto nemmeno in tempo a raggiungere il primo bus che doveva portarmi a visitare una bella località fuori Tirana: uno strappo inatteso e ampiamente maledetto in questi giorni mi ha costretta all'immobilità forzata! Non mi resta che sognare i posti che non ho visto e che immagino bellissimi e ricchi di storia e folklore...e attendere il prossimo viaggio in terra balcanica!

Mirupafshim, Tirana!

Entrare in un negozio e farsi mettere in mano una chitarra dal proprietario,
che attacca O sole mio col mandolino: fatto! (da mio papà) Only in Tirana :)



*aggettivo preso dal blog di Tegamini, entrato immediatamente nel mio vocabolario.

domenica 20 aprile 2014

Al mercato

Tirana - Il mercato
Non ne potevo più di stare tappata al chiuso.
E' domenica, è festa: devo assolutamente uscire e approfitto della pallida occhiata di sole per calarmi nei miei panni preferiti, ovvero quelli dell'esploratrice spaesata.
Cosa c'è di più bello che camminare a caso per ore immergendosi in una città nuova, senza meta, senza guida, senza mappa e - non vale barare - senza wi-fi?
Persino questa città riacquista del vago fascino, se guardata con distacco.
Nonostante la fanghiglia, il traffico incessante (è la domenica di Pasqua ed è mezzogiorno, togliete i vostri culi dalle macchine porca miseria!!), il rumore e le abitudini discutibili di una città che ancora dopo due settimane fatico a comprendere, la gioia di girovagare mi pervade ed è immensa.
La cosa bella è che qui nel centro di Tirana c'è sempre mercato. Legale, illegale, sotto banco, per passaparola...E' lo stesso. La piazza del mercato brulica di colori e odori, il profumo della frutta fresca si mescola con l'odore acre del tabacco e altre puzze non meglio identificate, le voci alte dei venditori si intrecciano in una melodia incomprensibile ed irresistibile, contrappuntate dal cinguettio delle gabbie degli uccelli in vendita e dall'uggiolare dei cuccioli rinchiusi, nella triste attesa di essere comprati ed amati.
Il mercato è un posto affascinante.
Vorrei curiosare tutto, annusare e toccare tutto, chiedere e fotografare tutto ma non posso: capisco bene che non sia usuale qui vedere una straniera aggirarsi al mercato da sola, e nonostante la gentilezza di molti la sensazione di avere dei riflettori puntati addosso con la scritta "pollo da spennare" non mi abbandona.
Ci sono tanti prodotti ignoti, e sono attratta da un cesto pieno di sassolini neri (riso? semi? frutta secca?) e da vere e proprie montagnole di striscioline bianche (crauti? spaghetti? vermi?), ma non appena il mio sguardo indugia un secondo di troppo in cerca di un indizio, le tre donne sedute sul marciapiede raccolgono i loro fazzoletti pieni di vermicelli bianchi e me li porgono cercando di imbonirmi in albanese.
Cosa vorranno? Convincermi della freschezza, propormi ricette, farmeli assaggiare? Mi limito a sorridere e a fare un cenno con la testa andandomene. Dannazione, adesso voglio sapere cos'è!
Adotto una nuova tattica: cammino veloce tra le bancarelle lanciando occhiate precise da massaia consumata, come se sapessi benissimo cosa sto cercando e dov'è; vedo tante cose sfuggendo allo sguardo catalizzatore dei venditori e mi allontano, proseguendo la mia passeggiata. Ma poi torno, ripetendo il giro all'inverso: adesso so cosa guardare, e cerco di carpire maggiori indizi prima di andarmene. E infine, al terzo giro: ah-AH! Kadaif! Una delle donne del marciapiede ha messo un cartellino scritto col pennarello davanti alla sua montagnola di vermicelli, e io esulto grata di quella scoperta: mi annoto la parola, e una volta tornata in albergo scopro che è quella specie di pasta-paglia che viene ricoperta da sciroppo di zucchero o miele e si usa sui dolci tipici della cucina mediorientale e balcanica. Fico!

Kadaif

Dopo un'ora di camminata però i miei polmoni implorano pietà: la cappa di smog è asfissiante dato che non piove, e comincio ad avere una vaga sensazione rantolante che preferirei rimandare a quando avrò novant'anni.

giovedì 17 aprile 2014

Sguardi

Tirana

Oggi ho scoperto un nuovo tipo di imprenditorialità. 
In mezzo alle decine di uomini intenti nel loro ciondolare quotidiano sulle panchine della piazza, la mia attenzione è stata attirata da uno di questi diverso dagli altri. Solo apparentemente indolente e sfaccendato, perché ha reinterpretato il concetto di guadagno in modo creativo: si è portato appresso la bilancia del bagno e l'ha posata ai piedi della sua panchina con tanto di cartellino del prezzo per pesarsi. Chi, passeggiando per la città, non ha mai sentito l'impellente bisogno di verificare che la propria massa corporea non abbia subito modifiche nel tragitto casa-panchina? Per soli 20 lek questo nuovo imprenditore di se stesso appaga il desiderio del pingue passante come della modella anoressica di accertare il proprio peso senza il fastidio di dover tornare a casa a fare i conti con l'odiata bilancia. In più la sua era così malridotta che in caso di insoddisfazione sul proprio peso si può sempre affibbiarle la colpa senza rimpianti.

domenica 13 aprile 2014

Adattamento - o di come non soccombere a Tirana

Caution! Post ad alto tasso ironico (ma non troppo) e polemico (ma non troppo). Astenersi permalosi, ipocriti e negazionisti. Maneggiare con cautela.

  • Regola d’oro per la sopravvivenza. Se non vuoi morire giovane, non attraversare mai le strade.
  • Essere pedone è una sfida alle convenzioni sociali. Se proprio devi attraversare una strada, attaccati ad un autoctono e buttati tra le macchine quando lo fanno loro: devono avere una passiva di intangibilità o qualcosa del genere, perché riescono sempre a sgusciare nel traffico come se fosse normale.
  • Simpatiche lucine. Spie luminose e sonore dell’auto sono simpatiche decorazioni che allietano la permanenza in taxi. Il tassista non mette la cintura, anche se i comandi dell’auto imperterriti continuano a fare deng deng deng e la spia luminosa lampeggia disperata, perché i due eventi non sono evidentemente correlati.
  • Voglio una vita spericolata. Il tassista alla fine decide con slancio creativo di mettere la cintura mentre con l’altra mano manda un sms e contemporaneamente imbocca una rotonda senza guardare a sinistra.
  • La strada e le sue regole (1). Non ci sono regole
  • La strada e le sue regole (2). Le precedenze non si rispettano, si interpretano.
  • La strada e le sue regole (3). La guida è creativa, una forma d’arte che come tale non va limitata né vincolata a regole. L’estro del tassista è sacro.
  • La poesia del quotidiano. Le frecce sono un accessorio del clacson. Il clacson è un mezzo di espressione e comunicazione, e come non può esistere il divieto di espressione, non si può pretendere di limitare l’uso del clacson. Sarebbe una lesione di diritti umani.
  • Vita sociale. La conversazione e lo scambio di idee sono fondamentali. Ogni posto è buono per fermarsi a scambiare due chiacchiere: il centro di una rotonda o una corsia di emergenza sono spazi aperti al confronto e al dialogo.
  • La legge si infrange per tutti. Come quelle della strada, anche le regole di comportamento vanno interpretate. Le leggi ci sono, e tutti le conoscono e le tengono ben presenti così da poterle infrangere con consapevolezza: il cartello “vietato fumare” è più che altro un accessorio da bar al pari del frigo o della macchinetta del caffé, niente di più.
  • Creazione del superuomo. Il traffico è chiaramente un problema che non sussiste. Il continuo afflusso di macchine favorisce la selezione naturale e la sopravvivenza degli individui geneticamente modificati compatibili con il luogo: polmoni foderati di catrame, udito bionico che supera la barriera di rumore, supervista resistente al fumo e allo smog. Le frequenti buche nei marciapiedi e tombini aperti non segnalati garantiscono la sopravvivenza ai soli individui dotati di acume, attenzione e vigore atletico, assicurando così la continuazione della specie di superuomo in grado di sopravvivere a queste latitudini.


mercoledì 9 aprile 2014

Inizia il viaggio! Chiacchiere da aeroporto...

Ed ecco che ritornano le avventure sparse di una musicista in viaggio!

Periodicamente mi torna la voglia di tenere un diario pubblico delle mie avventure a zonzo; so bene che è un progetto inesorabilmente destinato al fallimento o a una prematura fine causa incostanza della sottoscritta e/o sopraggiungere di nuove e mirabolanti idee altrettanto destinate al fallimento o a una prematura fine causa incostanza della sottoscritta e...eccetera.

Ma mi sono chiesta: e allora? Quando mi scappa la voglia di scrivere, non la tengo proprio.

Ovviamente scrivo per lo più scrivo cazzate, ma dato che è statisticamente provato che scrivere cose intelligenti aizza altri intelligenti ad aprire dibattiti non richiesti su qualunque argomento, che sia la deforestazione dell'Amazzonia o la ricetta della polenta uncia, ci rinuncio in partenza.

La voglia di scrivere e condividere i miei appunti -non richiesti- mi viene soprattutto quando sono in viaggio. E’ naturale, credo: siamo sempre portati per natura a confrontare abitudini, cercare stranezze e riferire aneddoti.

Oggi scrivo dall’aeroporto di Vienna: un superaccessoriato mega aeroporto dove passerei senza problemi tutta la giornata: ai gate oltre che le normali sedie troneggiano poltroncine e divanetti dove ci si può sdraiare, angoli con scrivania e separé per i computer addicted (guess who), prese di corrente ovunque per ricaricare telefoni e macchine fotografiche. E vorrei (AIUTO), vorrei veramente avere dei bambini per andare a giocare nella zona family, dove c’è un divano rotondo gigante, una parete intera con i cartoni, tappeti colorati e tavoli per disegnare!!
Se non fosse stato per la poliziotta acida che mi ha malamente apostrofato in lingua polaccungarica (mi rifiuto di credere che quello fosse austriaco, mi rifiuto) mi sarebbe sembrato di entrare in un centro commerciale superchic, ma più pulito, ordinato e con meno folla.
Le mie tre ore di attesa tra un aereo e l’altro sono così scivolate piacevolmente, impreziosite da una pausa pranzo con panino alle olive molliccio da otto euro annaffiato con acqua d’annata Evian da sei euro - il che mi ha ricordato la colazione da sceicco arabo (caffé e brioche, forse fatta con latte di dodo) pagata qualche ora prima a Lipsia.


Lipsia, l’aeroporto più desolato del pianeta. In realtà è bellissimo: intanto perché è a 15 minuti da casa, e poi perché è nuovo, scintillante e superefficiente. Solo che non c’è mai nessuno. Tanto che non hanno nemmeno ritenuto utile aprire un duty free, o un barettino o un giornalaio: una volta passati i controlli, sei loro prigioniero. Hai sete? Ca**i tuoi, dovevi pensarci prima. E ma l’acqua non me la fanno passare ai controlli...Ca**i tuoi uguale. Stamattina alle 6 poi il traffico passeggeri era talmente intenso che ogni singolo addetto ai controlli ha attaccato bottone con me con i pretesti più disparati. Tenerissimo il tizio che doveva solo controllare la carta d’imbarco per l’accesso ai nastri: prende il biglietto, se lo rigira un po’ tra le mani e attacca: “Bello viaggiare, eh?” Silenzio. Io, ancora addormentata: “Ehr...sì”. “Tirana, eh?”, senza accennare a restituirmi il biglietto. Lo guardo stralunata. Più che “Jawohl” con forzato entusiasmo la mia fantasia non riesce a partorire, e me ne vado un po’ dispiaciuta di non aver saputo cogliere l’attimo di profondo scambio culturale che avrebbe potuto nascere da quella conversazione antelucana.

Cos’avrà da offrire il prossimo aeroporto? Tirana, arrivo: stupiscimi!